Negli ultimi anni, l’orientamento dei Tribunali nei confronti del fenomeno del mobbing si è fatto sempre più restrittivo e non si contano le pronunce di reiezione delle domande dei lavoratori, quasi sempre dovute alla difficoltà di provare l’intento persecutorio del datore di lavoro o la continuità delle molestie subite dal dipendente: questa tendenza, naturalmente, ha lasciato scoperte e prive di tutela tutta una serie di situazioni lavorative in cui il lavoratore, pur non potendosi definire vittima di mobbing, era comunque oggetto di molestie e vessazioni che sono sicuramente meritevoli di tutela.
Nel caso in esame, patrocinato dall’avvocato Paolo Bagnasco, le condotte portate all’attenzione del Giudice riguardavano l’atteggiamento di un responsabile che era solito indulgere in battute ed apprezzamenti sconvenienti sull’aspetto fisico delle proprie sottoposte.
La sentenza qui pubblicata si pone nel solco di alcune recentissime sentenze della Cassazione e riconosce la rilevanza del c.d. straining (o mobbing attenuato), valorizzando il principio, sancito dall’art. 2087 c.c., per cui il datore di lavoro è comunque tenuto a tutelare il proprio dipendente da condizioni stressogene che, pur non presentando tutte le caratteristiche tipiche del mobbing, sono suscettibili di mettere a repentaglio la salute psicofisica del lavoratore.
Info sull'autore